Una “Capanna di Betlemme” a Prata Camportaccio, in provincia di Sondrio, in Valchiavenna. Il progetto di accoglienza nato, nel 1987 a Rimini, con don Oreste Benzi e l’Associazione papa Giovanni XXIII, vede la luce anche nella nostra diocesi, grazie all’impegno di don Federico Pedrana che, da poco più di un mese, nella vecchia canonica, ha avviato un percorso di accoglienza per senza dimora.

«Ci sono tanti poveri che non ci cercheranno mai! Quelli, li dobbiamo cercare noi. Se non li vado a cercare, io non sono vero, perché dico che sono i miei fratelli». Queste sono parole di don Oreste Benzi, un vero mandato per la comunità e l’associazione ispirate al suo pensiero: «abbiamo iniziato ad incontrare i poveri nelle stazioni, sotto i ponti, sulle panchine nei parchi, nelle case abbandonate e ovunque essi si rifugiassero alla ricerca di un posto sicuro per la notte». A spiegarlo è la stessa “Associazione Papa Giovanni XXIII”. Come accennavamo in precedenza, 36 anni fa, a Rimini, fu aperta la prima “Capanna di Betlemme”, «una realtà di pronta accoglienza serale e notturna per senza dimora – aggiungono dalla “Papa Giovanni” –. Qui gli “invisibili” non trovano solo un tetto sulla testa e un letto dove dormire, ma soprattutto il calore di una famiglia, attraverso momenti importanti di condivisione come la cena e il dialogo, che lentamente permettono di instaurare relazioni significative». I senza dimora sono spesso giudicati a partire dalle apparenze o dalle dipendenze, senza che nessuno conosca veramente la loro storia e il perché della loro condizione. «La maggior parte – spiegano sempre dall’Associazione – vorrebbe avere un’abitazione e un lavoro stabile, vivere normalmente, relazionarsi con gli altri. Ci sono tanti traumi: chi ha rotto col coniuge, con i genitori, con i figli. Altri si ritrovano senza casa né niente, dopo anni di reclusione in carcere, o in ospedali psichiatrici. Altri, i cosiddetti nuovi poveri, hanno perso il lavoro o sono stati sfrattati. La “Capanna di Betlemme” organizza generalmente una o due uscite giornaliere in strada per incontrare i senzatetto. Una prima di cena per proporre un pasto e un’altra alla sera tardi per offrire un posto letto. Oggi chi arriva alla “Capanna di Betlemme” ha anche la possibilità di uscire dalla propria condizione attraverso la costruzione di progetti individualizzati di reinserimento sociale. Questo percorso si sviluppa nella misura in cui la persona ritrova il desiderio di condurre una vita dignitosa, la capacità di lottare contro le ingiustizie e il sostegno fraterno di persone che si fanno a lei “prossimo”».

È esattamente questo il progetto che alimenta la “Capanna” avviata a Prata Camportaccio, nella casa un tempo abitata da don Anacleto Pegorari che qui fu parroco per 62 anni. La struttura, dedicata alla memoria del sacerdote, è stata sistemata con la partecipazione dell’intero territorio, grazie alla sinergia della comunità parrocchiale, pastorale, il Vicariato, la Caritas Valchiavenna. «È una “Capanna” aperta ai poveri, agli ultimi, con i quali condividiamo la nostra vita: dalla preghiera alle attività manuali», ci racconta don Federico, rientrato in Diocesi in questi ultimi mesi, dopo cinque anni come “fidei donum” in Romania in una realtà di accoglienza sempre dell’Associazione Papa Giovanni XXIII (oggi presente in più di 20 Paesi, in tutto il mondo, con programmi di aiuto a molteplici forme di emarginazione e povertà). Insieme a don Federico c’è una volontaria. La struttura di Prata può accogliere fino a una dozzina di persone. Al momento gli ospiti sono cinque, del territorio ma anche da fuori provincia. Tutti uomini adulti: 30, 45, 60 anni. Non hanno una casa e hanno un grande bisogno di socializzazione. «Il vero male di oggi – ci racconta don Federico – è la solitudine. Fra le attività che condividiamo, oltre ai lavori manuali e, una volta a settimana, un viaggio a Milano fra i poveri che vivono in strada, nei fine settimana ci rechiamo fuori dai bar e delle discoteche. Lo facciamo per incontrare i giovani, per metterci in ascolto e troviamo tanta solitudine, tanta noia. Non ci sono obblighi: chi lo desidera si mette in dialogo. Parliamo… Qualcuno ha anche chiesto di pregare… Ci sono giovani con i quali si è intrecciata una relazione e sono venuti in pellegrinaggio sul luogo del martirio della beata suor Maria Laura… Il tutto con grande spontaneità… La Casa è per tutti ed è aperta a tutti».

Quale ricordo hai con te dell’esperienza in Romania. «Troppo complicato sintetizzare tutto in poche parole… certamente posso dire di aver incontrato Gesù sulla strada, nelle tante persone che sono diventate amiche e che non potrò dimenticare mai». La “Capanna di Betlemme” nella casa di Prata Camportaccio sta muovendo i suoi primi passi, «ma questo è stato possibile farlo grazie alla generosità della gente e alla disponibilità dei confratelli sacerdoti, don Andrea, don Mauro e don Aldo che da subito hanno creduto e supportato il progetto: hanno capito, appoggiato e accolto a braccia aperte questo percorso». Firmare nel riquadro dell’Otto per Mille alla Chiesa cattolica significa anche partecipare al sostentamento dei sacerdoti che, come don Federico, si spendono accanto di tanti fratelli e sorelle. «Con questo progetto ci “buttiamo nelle solitudini” di tante persone – riflette don Pedrana –. La Chiesa in uscita è andare a cercare gli altri, senza aspettare che vengano a cercarti, ma anche farsi trovare e diventare famiglia per chi una famiglia non ce l’ha più o la vorrebbe ritrovare».

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ENRICA LATTANZI