“Pescatore di uomini”. È questo il titolo del duplice incontro con don Mattia Ferrari, sacerdote della diocesi di Modena e cappellano di Mediterranea Saving Human, una delle navi di soccorso attive nel Mediterraneo Centrale. Il sacerdote, viceparroco nella comunità pastorale di Nonantola, sarà in Tremezzina il prossimo 10 novembre: alle 19 per una cena solidale all’oratorio di Ossuccio (il ricavato andrà a sostenere le attività della Mare Jonio, l’imbarcazione di Mediterranea) mentre alle 21, porterà la sua testimonianza all’Auditorium dell’Istituto Comprensivo della Tremezzina, sempre ad Ossuccio.

A promuovere l’evento è il gruppo locale “Un miglio non ci basta” attivo da anni proprio a sostegno dei soccorritori in collaborazione con il Comune di Tremezzina, l’Istituto Comprensivo e la comunità pastorale Lenno e Isola Ossuccio.

Per don Mattina quella di Mediterranea Saving Human è prima di tutto un’esperienza di fraternità, non solo con i migranti soccorsi in mare o accolti a terra (l’ONG è attiva anche in progetti di solidarietà sulla terra ferma) ma anche tra persone e organizzazioni che vengono da storie e vissuti diversi. L’Organizzazione nasce infatti a Bologna da due storici centri sociali cittadini, ma è proprio da loro che viene la richiesta di poter avere un assistente spirituale che potesse seguirne l’attività. «Avevo conosciuto questi Centri alcuni anni prima – racconta don Mattia – quando, da giovane seminarista, mi aiutarono a trovare uno spazio di accoglienza per un giovane gambiano che, con i volontari Caritas della mia parrocchia, avevamo incontrato alla stazione di Bologna, ma per cui non riuscivamo a trovare una soluzione abitativa.

Anni dopo quando maturarono la decisione di mettere in mare una nave, la Mare Jonio, mi chiamarono a Bologna e mi chiesero una mano per coinvolgere in questa iniziava la Chiesa cattolica: «Non possiamo fare questa missione da soli – furono le loro parole – non vogliamo che la nave sia nostra, ma di tutti. Da prospettive e storie diverse, ma mettendo al centro la vita. Ovviamente mi confrontai con il mio vescovo e il vescovo di Bologna e fu proprio il cardinal Zuppi a chiedermi di diventarne il cappellano».

Un ruolo che l’ha portato anche a bordo delle navi di soccorso. Imbarcazioni che, a detta di don Mattia, hanno un duplice fondamentale obiettivo: «Pensando alle navi delle ONG si pensa ai soccorsi dei migranti ed è vero, ma c’è un altro ruolo altrettanto importante che viene svolto da noi e da tante altre imbarcazioni della cosiddetta “flotta civile”: quello di essere occhi e orecchie in mezzo al mare, di assicurare la presenza della società civile in luoghi dove molti, troppi vorrebbero che nessuno vedesse».

Per don Mattia, che in questa sua veste ha avuto modo di incontrare in alcune occasioni anche Papa Francesco, il Mediterraneo non è solo un luogo purtroppo di morte, ma anche una dimensione privilegiata di incontro.

«Il fondatore di Mediterranea Saving Human, Luca Casarini, è stato invitato come uditore al Sinodo dei vescovi che si è appena concluso e, durante una conferenza stampa, ha trovato un’immagine che, più di ogni altra, descrive bene quello che è il cuore della nostra esperienza: “Quando noi siamo in mare – ha detto – si verifica l’incontro tra due povertà: la povertà materiale dei migranti che accogliamo a bordo quando non hanno più davvero nulla, solo la loro vita, e la povertà spirituale nostra”. Io stesso in mare ho sperimentato l’incontro tra queste due povertà ed è in questo incontro tra poveri che vediamo nascere l’amore. Noi fisicamente li salviamo, nel senso letterale di trarli in salvo, ma quello che sperimentiamo è un salvataggio reciproco».