In questi giorni, mentre noi cattolici ci prepariamo a celebrare la Santa Pasqua di Risurrezione, centro della nostra fede, le altre due religioni monoteiste, in contesti diversi fra loro, hanno due celebrazioni importanti. Da una parte gli Ebrei, che sono nel mese di Adar 5784, e lo scorso 14 del mese di Adar, che per noi corrispondeva al 24 marzo, hanno ricordato la festa del Purim (che significa “le sorti”), che cade un mese prima della loro Pasqua e che è preceduta da un giorno di digiuno. Il Purim ricorda la vicenda di Ester alla corte di Assuero: la donna riuscì a salvare il popolo ebraico dalla distruzione ordita dal perfido Haman. È consuetudine celebrare il Purim non solo in sinagoga, ma anche con un lauto pranzo (accompagnato dal vino) e con un’offerta per i poveri. Dall’altra parte ci sono i fedeli islamici che, fino al prossimo 10 aprile, vivono il mese di Ramadan, che non è solo un tempo di digiuno “materiale” (dal cibo e dalle bevande), ma anche un’esperienza spirituale di preghiera e lettura del Corano. Durante questo periodo si ricorda la notte in cui, così narra la tradizione, fu rivelato proprio il Corano (Laylatul-l-Qadr).
Stiamo vivendo un frangente storico attraversato da grandi tensioni, talvolta ispirate proprio alle ideologie religiose. C’è sempre grande attenzione nei confronti del mondo musulmano. Retaggio del passato è, per esempio, lo stereotipo del saraceno che brandisce una scimitarra – ricordo i pupi siciliani -: fa parte del nostro immaginario collettivo. Come del resto sono stereotipate le immagini delle mollezze dell’harem e della sensualità della danza del ventre, come nei racconti de “Le mille e una notte”. A tutto questo si aggiungono da una parte i cliché delle agenzie di viaggio dove Oriente fa rima con spiagge assolate, villaggi turistici con tutti i comfort, affiancati da qualche capatina a siti archeologici e giù di lì, con un po’ di shopping in mercatini tipici ove si rischia di acquistare qualche pezzo di artigianato locale “made in China”. Ma, come dicevamo, c’è l’aspetto “minaccioso” e avverso dell’Oriente, in particolare quello arabo-musulmano, dovuto in gran parte al terrorismo di matrice islamica; ciò ha rafforzato l’immagine negativa di intere popolazioni/culture, ignorando del tutto la straboccante umanità del Medio Oriente e del Nord Africa che si riscontra nei villaggi e nelle metropoli, per altro simili ad altri spazi mediterranei. Uno degli aspetti di quelle terre del tutto ignorato o poco noto, comune a tutta l’umanità è quello dell’ironia, dell’umorismo come forma di resistenza e di sopravvivenza.
L’ho sperimentato in Siria, durante un viaggio del 2005, quando non era ancora distrutta dalla guerra, con Samir che mi spiegava le vignette satiriche che si trovavano sui giornali: bene vizi e virtù ma senza “toccare” gli Assad! In seguito, ho potuto leggere un libro edito da Carocci nel 2011 dal titolo “Il sorriso della mezzaluna, umorismo, ironia e satira nella cultura araba”, scritto a più mani (Paolo Branca, Barbara De Poli, Patrizia Zanelli) con la prefazione di Mario Scialoja, già ambasciatore e consigliere di un Centro Islamico. Prima di accennare ai contenuti del libro e di sue particolarità, mi pare giusto fare alcune premesse: in Italia barzellette su Gesù, la religione, talora dissacranti e volgari, abbondano; nell’islam analoghe storielle su Muhammad, Gesù figlio di Maria, sarebbero impensabili, sono accettate quelle su aspetti minori e di culto; il mondo arabo-musulmano, peraltro con differenze al suo interno, rappresenta solo una parte di quell’oltre miliardo e mezzo di fedeli islamici in tutto il mondo, anche occidentale.
Nella prefazione del libro, Scialoja racconta come a Riyadh l’umorismo si rivelasse persino nelle vetrine di un negozio dove erano esposte delle t-shirt, rigorosamente nere, come prescrivono i dettami del wahabismo saudita. Il libro è diviso poi in sei capitoli, scritti ciascuno da uno degli autori: “ L’umorismo classico” con riferimenti storici; “La satira proverbiale” già usata in epoca preislamica e poi codificata in più riprese; “Ridere oggi: le barzellette”, dopo una presentazione, sotto diverse tematiche come il sesso e la religione, vi è una rassegna delle stesse; “Egitto, mitica terra della risata”, essa è considerata una caratteristica della cultura locale; infine due sezioni problematiche, ad intra ed extra: “Umorismo e censura nel mondo arabo, il caso “Demain”, nel Marocco, “Reazioni a vere o presunte provocazioni” in casi avvenuti in Europa con accese controversie. Dal volume traggo due barzellette che ricordano come tutto il mondo è paese; la prima: un giapponese dice ad un arabo: “Il più stupido di noi costruisce un telefono cellulare”, e l’arabo “Mentre da noi il più stupido lo facciamo diventare presidente!”. La seconda: un iman comincia così la sua predica: “Ho due notizie da darvi, una buona e una cattiva. La buona è che finalmente so quanto costerà edificare una nuova moschea. La cattiva è che i soldi sono ancora nelle vostre tasche”. Scrive Paolo Branca nella sua introduzione: “Ridere di noi stessi, dei nostri limiti e dell’assurdità dell’esistenza, meraviglioso dono che ha sempre almeno due facce… per prendersi gioco delle nostre false sicurezze e rimetterci in discussione, insomma per ricordarci, come dice un proverbio arabo che “la vita è così: un giorno dolce come il miele, un altro aspro come la cipolla”.
ROBERTO RIGHI