Il 31 ottobre, in occasione dell’annuale esposizione dell’Urna Volpi che caratterizza le festività di Tutti i Santi, la Commissione Culturale della Cattedrale proporrà una conferenza, a cura di Rita Pellegrini, dal titolo: “Le insegne liturgiche episcopali: mitre, pastorali, croci pettorali, anelli dei Vescovi di Como”. In queste righe si intende dedicare un approfondimento specifico a tale tema facendo riferimento alle insegne di monsignor Alessandro Macchi, vescovo di Como dal 1930 al 1947, anno della sua morte.
Che cosa intendiamo, anzitutto, con il termine “insegna”? In generale, il vocabolo indica un segno concreto, visibile, che contraddistingue una certa categoria di persone, per esempio in funzione della loro autorità o della loro dignità. Di conseguenza, nei secoli si sono individuate e riconosciute anche alcune insegne di tipo ecclesiastico connotanti rispettivamente la dignità del papa, dei vescovi, dei cardinali, degli abati, delle badesse.
Quelle qui esaminate sono le insegne episcopali che, dopo il Concilio Vaticano II, si riconoscono in numero di quattro: mitra, pastorale, anello e croce pettorale. In epoca precedente, il vescovo era distinto da ulteriori insegne: pianelle o sandali, calzari e chiroteche o guanti. Nella conferenza del 31 ottobre si farà riferimento anche a queste ultime, esponendo tra l’altro alcuni esemplari di insegne vescovili comprendenti pezzi di quelle di antico corso.

Lo stemma sulla mitra del vescovo Macchi

Come preannunciato, ci concentreremo qui su alcuni oggetti appartenuti al vescovo Alessandro Macchi, ma, per comprenderne il significato storico-artistico, sarà necessario premettere qualche puntualizzazione biografica. Nato a Gallarate nel 1878, il Macchi fu ordinato nel 1903 a Milano dal cardinale Andrea Carlo Ferrari, il quale lo volle come proprio segretario. In tale veste partecipò al conclave del 1914 con il quale fu eletto papa Benedetto XV. Nel 1915 don Alessandro venne chiamato a reggere la parrocchia milanese di S. Andrea, prima come delegato arcivescovile e poi come prevosto. Alla fine del 1922 gli giunse la notizia della nomina a vescovo di Andria, ove il Macchi successe a monsignor Eugenio Tosi, il quale nel frattempo era stato nominato cardinale e arcivescovo di Milano. Nel 1930 il vescovo Alessandro fu trasferito a Como, ove resse la diocesi anche durante il difficile periodo della Seconda Guerra Mondiale.

Quando monsignor Macchi fu nominato, e poi divenne, vescovo di Andria, ricevette alcuni doni che avrebbe lasciato in seguito alla cattedrale di Como, del cui patrimonio oggi essi sono parte. La parrocchia di S. Andrea gli donò un artistico pastorale, modellato secondo la più tipica fattura e caratterizzato cioè da un ricciolo sommitale che si innesta nel bastone attraverso un nodo più ispessito. Il ricciolo, che si ispira a moduli decorativi barocchi, è arricchito da fogliami e da tralci di vite e spighe che rimandano al tema eucaristico. Al centro vi si appoggiano due graziosi angioletti che reggono il Libro con i Sette Sigilli dell’Apocalisse e l’Agnello Crucigero. Il nodo è ornato da quattro smalti: uno riporta lo stemma del vescovo con il suo motto, DEUS MEUS FORTITUDO MEA; il secondo è dedicatorio e cita la parrocchia donatrice di S. Andrea e l’anno 1923, quello della consacrazione a vescovo di Andria; gli ultimi due sono figurativi e rappresentano S. Alessandro e S. Andrea.

Particolare del pastorale donato dalla parrocchia milanese di S. Andrea

Un secondo dono giunse al Macchi dal Collegio dei parroci urbani di Milano, del quale egli aveva fatto parte. Venne accompagnato da una lettera del 19 gennaio 1923 del sacerdote Edoardo Maria Nava, il quale si espresse a nome dell’intero sodalizio e assicurò preghiere per il giorno della consacrazione a vescovo di Andria, fissata al 21 gennaio successivo. Si tratta di un anello episcopale piuttosto singolare. Generalmente, infatti, gli anelli dei vescovi sono caratterizzati da una gemma quale un’ametista o un topazio, eventualmente circondata da diamanti. In questo caso, invece, la pietra centrale è una sodalite e intorno a essa sono disposti dieci rubini. Attraverso un gioco creato dall’accostamento di oro giallo e oro rosa e dalle rimarcazioni sottolineate dall’incassatura a martello con rifinitura a milligrana, si favorisce un piacevole contrasto di colori. Il gambo dell’anello riporta da una parte lo stemma del vescovo Macchi e dall’altra una immagine di Maria con Gesù infante.

Il terzo dono venne recato al neovescovo nel giorno del suo solenne ingresso nella cattedrale di Andria: il 20 maggio 1923, domenica di Pentecoste. Gli fu presentato «sul limitare della porta». Si trattava di un anello elargitogli dal cardinale Eugenio Tosi, suo predecessore in quella diocesi. Il gioiello è opera di Giacomo Ravasco (1846-1928), abile orafo genovese trapiantato a Milano, che proprio in quel 1923 si rese celebre per avere eseguito la Tiara della Pace, disegnata dal senatore Luca Beltrami e offerta dalla città di Milano a papa Pio XI. L’anello, realizzato in oro giallo e rosa, reca al centro un grande topazio verde, gemma piuttosto rara, circondato da rosette di diamanti. Presenta una fine lavorazione manuale ed è contraddistinto, da una parte del gambo, dallo stemma vescovile dipinto in smalto a fuoco color rosso ambrato, che crea un elegante contrasto con gli altri colori del monile.

L’anello donato dal cardinale Tosi

Del vescovo Alessandro Macchi si conserva anche una mitra, copricapo che il vescovo utilizza durante le celebrazioni solenni. In generale, la mitra è caratteristicamente bicuspidata e dalla parte posteriore di essa pendono, destinate ad appoggiarsi sul dorso, due fasce chiamate infule che, sovente, terminano con lo stemma del vescovo titolare. Nel caso specifico, la mitra porta ricamato lo stemma di monsignor Macchi, ma con un errore: il blasone è costituito di per sé da un Leone rampante attraversato da una fascia con tre stelle, ma le infule della mitra Macchi ne riportano quattro. Il copricapo è in tessuto cannellato di seta oro e appartiene alla categoria delle cosiddette “mitre aurifregiate”, quelle cioè che si distinguono per i ricami che decorano la loro superficie e che, in questo caso, sono realizzati in filo dorato e seta rossa. In particolare, su entrambe le facce della mitra è ricamata una croce, ornata di una piccola gemma vitrea rossa all’incrocio dei bracci. È possibile che si tratti della «mitra d’oro» citata nei documenti d’archivio come dono recato nel 1940 dal Preseminario di Como al vescovo Alessandro per il decennale della sua presenza in diocesi.