Max Laudadio è un presentatore, attore, intrattenitore e conduttore (televisivo e radiofonico) italiano, conosciuto ai più per la sua partecipazione come inviato alla trasmissione “Striscia la notizia”. In questo articolo – pubblicato sul numero 14 de Il Settimanale – ci racconta la sua esperienza di accoglienza familiare realizzata in collaborazione con la Cooperativa Agrisol, attiva nelle Valli Varesine.

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Il secolo che stiamo vivendo si è aperto con ondate migratorie spaventose, fiumane di persone in fuga dai loro Paesi bombardati e sfruttati, esseri umani in cerca di vita in quel pezzo di mondo così ricco e libero, il nostro.

Ma noi non volevamo che qualcosa cambiasse, perché in fondo il nostro mondo ci andava bene così. E come ogni cambiamento non richiesto, non lo abbiamo accettato. Dovremmo però soffermarci a riflettere per capire se questo nuovo scenario ci colpisce solo negativamente, a livello personale, sociale, economico.

Se concordate che nella vita è importante riconoscere le giuste opportunità per ciascuno di noi, allora proviamo a guardare il problema dell’immigrazione con resilienza.

“In psicologia la resilienza – cita Wikipedia –  è la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità.

Sono persone resilienti quelle che, immerse in circostanze avverse, riescono, nonostante tutto e talvolta contro ogni previsione, a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e perfino a raggiungere mete importanti.”

Ecco, la decisione di accogliere nella mia famiglia un immigrato è una storia di resilienza.

Fino all’undici marzo 2016 viveva con noi nonna Neve. Aveva 94 anni ed era molto malata. Le sue condizioni peggioravano giorno dopo giorno finchè l’assistenza della sua badante diventò insufficiente. Occorreva intensificare le cure, standole vicini anche di notte.

Cercando una soluzione con mia moglie, si fece strada l’idea di rivolgerci a un centro d’accoglienza profughi, e in particolare ad Agrisol di Maccagno. Avevamo conosciuto questa struttura grazie a una collaborazione avviata tra loro e l’associazione onlus ON, di cui facciamo parte, e ne avevamo apprezzato la serietà e l’umanità. Ci fu proposto un ragazzo nigeriano di trent’anni.

Eravamo perplessi, temendo che nonna Neve non avrebbe mai accettato di essere accudita da un uomo, in più africano. Decidemmo di provare ugualmente e così il grande uomo nero arrivò a casa nostra a fine febbraio: “Io Stanley”, disse lui. “Io Neve” disse lei. Stanley mise a disposizione attenzione e responsabilità, Neve rispose con fiducia e disponibilità. In pochi giorni si aggiunse l’affetto, ed era reciproco.

Una grande nevicata fuori stagione preannunciò la morte di nonna Neve. Arrivò l’undici marzo mentre dormiva, trovandola con la mano in quella del suo ultimo amico su questa terra, Stanley che in quel momento perdeva tutto: la possibilità di essere importante per qualcuno, una casa dove stare, un futuro da sognare.

Sono certo che non avesse aspettative di nessun genere perché nei suoi occhi c’erano solo incertezza, paura e vuoto. Vuoto, come vuote sarebbero state le stanze della nonna. Ma non andò così.

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È passato un anno e Stanley occupa ancora quelle stanze. Il suo italiano è migliorato perché studia con impegno, seguito da un insegnante due volte alla settimana. Ha fatto uno stage di quattro mesi come giardiniere, gioca nella squadra di calcio del paese, è entrato come volontario in un centro della zona per disabili mentali, ha costruito un rapporto d’amicizia con nostra figlia che ha tredici anni, non si tira mai indietro e, se gli chiedi qualcosa, cerca con tutto se stesso di essere utile con gentilezza e rispetto.

Stanley arrivava da una situazione drammatica in Nigeria, senza famiglia, senza lavoro, senza soldi.  Ha attraversato il deserto a piedi, ha visto morire il suo miglior amico nel deserto durante la marcia verso il Mediterraneo che ha attraversato su un gommone trattato come una bestia, è sbarcato a Lampedusa senza che nessuno potesse confortarlo sul suo futuro.

Questa è la storia di Stanley che oggi s’intreccia con quella della mia famiglia, una storia d’accoglienza e, come dicevo prima, una storia di resilienza.

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Stanley è stato una grande opportunità per noi e non solo perché ha portato vita in un momento di morte. Stanley ci insegna ogni giorno che tutti noi possiamo toccare il fondo e perdere la luce ma niente può distruggere quella parte di divino che possediamo se ogni giorno la ascoltiamo. E’ la voce che arriva dalla nostra anima e che ci garantisce la strada giusta e la speranza. E’ un impulso che non conosce arroganza, diffidenza, convenienza. E’ un brivido che ci avverte se giudichiamo senza sapere. E’ l’amore che ci chiama.

Auguro resilienza anche a chi dovrà giudicare se Stanley potrà stare in Italia.

In quanto nigeriano gli è stato negato l’asilo politico, ma Agrisol lo sta seguendo per ottenere un permesso d’aiuto umanitario.

Vorrei ricordare a chi sta decidendo del suo futuro che Stanley ha dimostrato in un solo anno il suo valore personale e sociale. Vorrei che i nostri giudici avessero i meriti di ufficializzare l’accoglienza di chi, come Stanley, è già stato accolto da una famiglia, da un datore di lavoro, da un centro di volontariato, da una squadra di calcio, da una comunità. Vorrei che gli stessi giudici avessero la possibilità di non accogliere negligenti e delinquenti.

E a tutti dico “Ci sono tanti Stanley, incontrateli anche voi!”

Max Laudadio