Da un paio di mesi, a Sondrio, lungo un’importante arteria di scorrimento cittadina, fra la stazione ferroviaria e le cosiddette vie dello shopping, ha aperto il primo “bio bar” del capoluogo valtellinese. Si tratta di un’attività commerciale innovativa e di grande valenza sociale. Innanzitutto perché propone prodotti realizzati sia con materie prime biologiche e a chilometro zero, sia con alimenti provenienti dal commercio equosolidale, come il caffè, il cacao e lo zucchero. Il bar, però, è soprattutto una sfida vinta dal punto di vista dell’integrazione, perché i cuochi che animano la cucina, coordinati da una chef valtellinese, e i camerieri in sala sono tutti giovani richiedenti asilo di origine africana. Il progetto per il loro inserimento sociale e la loro formazione professionale ha inizio un paio di anni fa, su impulso della Prefettura, che ha coinvolto la “Fattoria sociale Lunalpina”, con sede nella frazione sondriese di Triangia, già impegnata in percorsi di riabilitazione per soggetti deboli, come ex detenuti, persone disabili o giovani disoccupati, che, presso la fattoria, hanno partecipato ai “tirocini risocializzanti”. Nel 2015 l’avvio di questa nuova avventura, che, dopo la formazione in fattoria, è sfociata nel “bio bar”, inaugurato a metà novembre e arredato con materiali riciclati e ristrutturati dagli stessi giovani richiedenti asilo. Nel punto di ristoro lavorano altri cinque giovani italiani.

«Non tutti i nostri clienti conoscono la nostra storia e quella dei nostri ragazzi – afferma Nadia Liotti, coordinatrice del progetto –. Apprezzano la qualità di quello che viene offerto, a prescindere dal valore sociale: segno di un positivo modello di integrazione».