“La maggior parte dei migranti che incontriamo e posso dire la totalità dei migranti transitati dalla Libia manifestano, seppur in forma differente, sintomi post-traumatici: difficoltà a dormire a causa di immagini che tornano ripetutamente e li tormentano, fino a dolori fisici di carattere psicosomatico”

A parlare a Il Settimanale è Nathalie Leiba, psicologa di Medici Senza Frontiere (MSF) che da circa un mese ha preso servizio a Como, operando sia all’interno del campo di via Regina Teodolinda, sia nella parrocchia di Rebbio.

Una dichiarazione che conferma la denuncia diffusa ieri da Unicef: “Dalla Libia all’Italia, un viaggio fatale per i bambini”.

Minori che hanno bisogno di essere seguiti ed accompagnati, ma questo purtroppo non sempre avviene: da una parte per la grande mobilità di chi arriva in città intenzionato a passare il confine, dall’altra per la carenza di mediatori e psicologi in grado di affiancarli.

The reason most people never reach their goals is that they don't define them, or ever seriously consider them as believable or achievable. Winners can tell you where they are going, wha (2)

“Nella maggior parte dei casi – racconta Andrea Anselmi, coordinatore del progetto Migrants on the move di Medici Senza Frontiere – sono gli operatori del campo (Cri, Caritas e medici volontari dell’Ats) a segnalarci chi potrebbe avere bisogno di un sostegno. In altri casi siamo noi ad avvicinare i minori cercando di cogliere quelli che possono essere segnali di allarme. Lo stesso avviene con la parrocchia di Rebbio con cui il confronto è costante”.

Ad attirare l’attenzione sono spesso alcuni comportamenti come l’eccessiva chiusura o l’aggressività, ma anche campanelli dall’allarme come l’abuso di alcool e il fumo.

“Purtroppo il consumo di alcolici – precisa la psicologa – è spesso utilizzato dai ragazzi come modo per gestire l’ansia e lo stress. Comportamenti che tendono ad aumentare in condizioni di inattività come quelle vissute da chi è ospitato nel campo di via Regina Teodolinda”.

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Ed è proprio la sensazione di essere bloccati in una sorta di limbo, senza poter far nulla, più ancora che il vivere all’interno di container, a pesare su questi ragazzi.

“Quello che è nato come un campo per i migranti in transito – conclude Anselmi – per molti è diventato un luogo in cui si può restare settimane prima di riuscire a passare il confine o di essere trasferiti in un Centro di accoglienza per minori. Questa incertezza, insieme a tempi e procedure legali di cui non sempre i minori hanno piena consapevolezza, alimentano la frustrazione e il disagio. Si dovrebbe allora cercare di ridurre i tempi di permanenza, soprattutto per chi deve essere trasferito e magari pensare a maggiori attività di socializzazione che possano aiutarli a vincere la frustrazione”