«Un cuore che vede, che arde, che ama». È questa la sollecitazione rivolta dal Vescovo Oscar al termine della Via Crucis del Lunedì Santo per le strade di Como, dalla chiesa di San Rocco alla Basilica di Sant’Abbondio, percorrendo i luoghi di una città sempre più multiculturale, avendo come punto di riferimento, nelle diverse soste di preghiera e di approfondimento, le sfide dei giovani e delle migrazioni. Davvero tanti i fedeli presenti.

Si è scelto di partire da San Rocco, uno dei contesti più significativi per la città sul fronte migratorio, ma anche della grave emarginazione: ci troviamo nel cuore di un quartiere multietnico; a pochi metri dalla chiesa, in via Regina, è stato allestito il “Centro di accoglienza temporaneo per i migranti”; nell’androne della struttura dell’Oratorio, di notte, trovano riparo molti senza tetto, quasi tutti di origine straniera. Un luogo-simbolo, dunque, una “periferia” viva e vivace da conoscere e abitare. Ricco il testo della “Via Crucis”, che non ha seguito lo schema tradizionale delle quattordici stazioni, ma ha proposto cinque tappe.  La prima, appunto, a San Rocco, ha avuto come passo evangelico di riferimento “l’unzione di Betania”. Da San Rocco, percorrendo via Milano, si è giunti a San Bartolomeo – ricordando la figura del beato Giovanni Battista Scalabrini, il vescovo dei migranti, che qui fu prevosto – il “quadro” meditato ha riguardato Pilato. Poi, attraverso via Cadorna, il terzo punto di sosta è stato il crocicchio fra le vie Croce Rossa, Italia Libera e Antonio Gramsci: qui ci sono diverse scuole (dal nido alle superiori…), la sede della Croce Rossa e quella della Questura (realtà coinvolte direttamente sul fronte dell’accoglienza umanitaria e su quello della raccolta dati per il riconoscimento dei migranti e la compilazione delle domande di asilo…). L’episodio al centro della riflessione è stato quello di Simone di Cirene. L’incontro fra Gesù e le donne è stato invece al centro della quarta tappa, in via Sant’Abbondio, di fronte a una nota discoteca cittadina, molto frequentata, soprattutto dai giovanissimi. La conclusione, infine, nella basilica di Sant’Abbondio (la chiesa dedicata al patrono della città e della diocesi con il chiostro divenuto sede universitaria dell’Ateneo dell’Insubria): qui la meditazione è stata su Gesù in Croce, in dialogo con sua madre e Giovanni.

Le riflessioni sul vangelo, lette da voci diverse, sono state curate, rispettivamente, da don Roberto Malgesini (della comunità pastorale Beato Scalabrini-Como), da suor Mirela Jaku (religiosa scalabriniana collaboratrice della Pastorale diocesana Migrantes), da una medico coinvolta nell’accoglienza e assistenza migranti, da un gruppo di giovani e da alcuni studenti universitari.

«Il Signore passa in mezzo a noi e ci invita a farci carico, come Lui, delle sofferenze dei fratelli e delle sorelle – ha detto il Vescovo Oscar –. Pensiamo ai profughi, a tutte le vittime del terrorismo, alle donne schiave della tratta, alle vittime della violenza e delle guerre, alle famiglie lacerate, alle persone che vivono forme di dipendenza, ai giovani senza futuro e privi di slancio… Questa sera abbiamo pregato per tutti… Ma la nostra Via Crucis non sarebbe vera, non sarebbe completa se non chiedessimo il dono dello Spirito Santo per imparare a caricarci delle sofferenze degli altri». Ecco, allora, le tre invocazioni: «Chiediamo che il Signore ci doni un cuore che veda, per non estraniarsi e rendersi conto dei disagi, delle ferite, delle lacrime dei fratelli e delle sorelle. Impariamo a documentarci, perché un cuore che vede non è capace di dire “non mi riguarda”». E ancora: «un cuore che arde, per essere capaci di immedesimarsi, non fermarsi alla freddezza delle apparenze… Mettiamo in ascolto dei nostri fratelli e sorelle migranti… Siamo stati capaci di piangere davanti a chi ci ha raccontato la fuga dalla famiglia e dai luoghi cari, le violenze, torture? Siamo stati capaci di piangere di fronte a chi è naufragato in mare? Se il cuore non arde ci fermiamo alle semplici analisi sociologiche, alla conta statistica… Ma dobbiamo farci sconvolgere il cuore, per caricarci del dolore fraterno». Infine un cuore che ama: «che non significa limitarsi alla commiserazione. La nostra preghiera, pur bella, non ci cambierà la vita se non ci chiediamo “ma io cosa posso fare?”. Serve il coinvolgimento attivo, personale, responsabile. Lasciamo che la fantasia della carità si metta in azione… Non possiamo non commuoverci di fronte alla sofferenza di Cristo che va a morire per me: è la strada per imparare a essere disponibili di fronte alle ferite dei nostri fratelli e sorelle». Al termine della Via Crucis il Vescovo Oscar ha invitato a baciare la Croce che ha accompagnato la preghiera e si è fermato a salutare tutti i giovani presenti – ed erano centinaia – rivolgendo una parola a ciascuno di loro.