“Famiglia, porto sicuro”. Si presenta con questo titolo il percorso rivolto a famiglie disposte ad accogliere in affido minori stranieri, promosso dal Coordinamento Comasco per la Pace, Kibarè onlus e l’associazione “I Frutti delle Vigne”. Quattro incontri (il primo prenderà il via il 22 gennaio) tra Como e Cantù, rispettivamente presso la Comunità Annunciata di viale Varese e presso la sede di Progetto Sociale, in via Palladio.
A spiegare al Settimanale il senso di questa iniziativa è Francesca Borsani, psicologa e counselor, esperta in accoglienza, riferimento dell’associazione “I Frutti delle Vigne”.
«Il corso si inserisce all’interno di una proposta più ampia di sensibilizzazione sul tema dell’accoglienza verso migranti che vede il Coordinamento comasco per la Pace presente nelle scuole comasche, con il coinvolgimento anche di giovani stranieri. Il pezzo che noi abbiamo voluto aggiungere, con la proposta di questi incontri, parte dall’esperienza maturata sul fronte dell’accoglienza in famiglia. Tema che vede già coinvolte nel nostro territorio alcune famiglie che hanno scelto di dare ospitalità a giovani migranti. Il corso nasce sostanzialmente per rispondere all’esigenza di queste famiglie, che hanno accettato di aprire la porta di casa senza disporre di alcuna struttura alle spalle, e di allargare questa forma di ospitalità a chiunque sia disponibile».
Come si caratterizza questa forma di accoglienza?
«La comunità si configura, per molti di questi ragazzi, in particolare se molto giovani come la risposta più immediata. Noi puntiamo ad affiancarci a questa forma di accoglienza più istituzionale, in cui i ragazzi ottengono risposte ad alcuni dei loro bisogni primari (trovando un riparo caldo e sicuro dove dormire e mangiare) ma dove fanno fatica a tessere relazioni con persone che possano in qualche modo aiutarli ad introdursi nel nostro mondo in un modo che non risponda solo a questioni di carattere logistico. Penso in particolare a quegli aspetti di socialità, ludici e relazionali, importanti per il benessere dei giovani in generale, e in particolare per questi ragazzi. L’idea è dunque che alcune famiglie possano aprirsi in modo condiviso e sostenuto a questa esperienza di ospitalità, magari anche solo nei fine settimana o durante una vacanza, offrendo lro occasioni in cui esprimere e condividere socialità. Ospitalità da cui dovrebbe scaturire relazione, amicizia, affetto, aiutando questi giovani a conoscere di più e meglio la società in cui sono immersi».
Si tratta di un’esperienza molto diversa dall’affido tradizionale?
«Per certi versi presenta caratteristiche che la complicano, trattandosi di una forma di incontro con persone che hanno una cultura molto distante dalla nostra. Un’accoglienza che a volte sbalordisce e disarma ma, di contro, che svela anche la realtà di ragazzi molto volenterosi, con la testa sulle spalle, arrivati fino a qui con grande tenacia, compiendo il viaggio che tutti conosciamo. Questo perché hanno davvero desiderio di mettersi in gioco, di trovare un lavoro, di integrarsi, conoscere, capire, mettersi in discussione. Da un lato persiste una differenza culturale che nella quotidianità si sente, ma dall’altro pesa molto la realtà di giovani motivati e fortemente desiderosi di farcela».
Il corso è gratuito. La partecipazione è libera, anche senza necessità di iscrizione. È possibile seguire l’intero percorso o partecipare soltanto ad alcuni incontri.
Trovate l’intervista completa sul Settimanale di questa settimana.