A lanciare per prima l’allarme sulle conseguenze introdotte dal “Decreto Sicurezza” sull’occupazione nel comasco e sulla gestione nel territorio delle strutture di accoglienza è la Fp CGIL di Como. In un comunicato diffuso nella giornata di mercoledì 13 febbraio il sindacato parte dalla situazione del Centro di accoglienza (Cas) di Prestino per denunciare i rischi occupazionali legati al cambio nel sistema di gestione introdotto dal decreto tramutato in legge il 1° dicembre scorso (legge 1 dicembre 2018, n. 132).

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A rischio ci sono sopratutto quelle figure professionali come mediatori e psicologi che erano maggiormente impegnati sul fronte dell’integrazione, così come i semplici operatori la cui presenza è fortemente ridimensionata. Questo, denunciano dalla CGIL, porterà ad indebolire ancora di più i già fragili percorsi di integrazione avviati sul territorio.

Sul tema del futuro dell’accoglienza in provincia di Como il Settimanale ha intervistato Stefano Sosio, presidente della Cooperativa Symploké, nata a Como nel gennaio 2015 su invito della Caritas diocesana e attualmente impegnata nell’accoglienza di 130 richiedenti asilo sul territorio della provincia.

“Siamo tutti in attesa dei nuovi bandi della Prefettura per l’assegnazione dei servizi di accoglienza sul territorio, visto che i precedenti sono ormai scaduti, ma dai capitolati trasmessi dal Ministero dell’Interno alle singole Prefetture appare evidente che si stia andando verso una radicale trasformazione del sistema dei Cas (Centro di accoglienza straordinari ndr) presenti sul territorio con conseguenze sia sui dipendenti, che sui percorsi di integrazione delle persone accolte”.

Quali sono le principali novità che verranno introdotte?
«I servizi offerti dai Cas verranno ridotti al minimo: dovranno garantire solo vitto e alloggio, poco più. Per fare questo verrà offerto agli enti gestori – siano essere cooperative sociali o società – una cifra attorno ai 21 euro a persona al giorno (per chi come noi fa accoglienza diffusa) a fronte dei 34 percepiti attualmente. Tutti gli altri servizi – dalla scuola di italiano, all’assistenza legale e psicologica, così come la formazione e l’orientamento al lavoro – saranno forniti solo dalle strutture della rete Sprar a cui accederanno, in un secondo momento rispetto al loro arrivo, soltanto i migranti che avranno ottenuto una qualche forma di  protezione internazionale. La riduzione colpisce tutti i Cas senza fare distinzioni tra chi ha lavorato bene o male in questi anni. Diciamo che si va verso un’idea di accoglienza che non è quella in cui crediamo».

Siete preoccupati?
«Certo. E non solo per le ricadute che questo avrà sul fronte dell’occupazione. Da mesi come cooperativa siamo preoccupati per i posti di lavoro dei nostri dipendenti (circa 40 ndr), molti dei quali sono giovani che hanno studiato e si sono formati perché credevano nell’importanza sociale di lavorare per l’integrazione e l’accoglienza. Purtroppo per alcuni di loro, specie per i contratti da tempo determinato, non ci sarà molto da fare e saremo costretti a non rinnovarli. Questo era già nell’ordine delle cose, visto il calo degli arrivi registrato nell’ultimo anno e mezzo, ma la volontà di cambiare così radicalmente il sistema ha determinato un’accelerazione che non ci sta dando molto tempo per pensare ai correttivi. Vi è poi una preoccupazione per le persone che vivono nelle nostre case, molte delle quali sono state messe a disposizione dalle parrocchie. Cosa sarà di loro? Se non partecipassimo al bando verrebbero con tutta probabilità trasferiti, dovendo ricominciare da capo il loro percorso. Ma anche partecipando non potremmo comunque garantire la qualità dell’accompagnamento fatto finora, se non a spese nostre, e comunque con una sostenibilità molto limitata nel tempo. Infine vi è una preoccupazione più profonda sul senso del nostro lavoro come cooperativa sociale:  in provincia di Como non esiste nessun centro della rete Sprar e la Prefettura – ovvero lo Stato – ha chiesto per anni a noi di svolgere questo lavoro di supplenza sul fronte dell’accoglienza. Pur con gli errori che tutti possono commettere crediamo di aver fatto un buon lavoro nei contesti dove abbiamo operato. Eppure oggi, senza possibilità di dire nulla, veniamo messi in difficoltà da quelle stesse Istituzioni che ci hanno chiesto aiuto per far fronte ad un’emergenza che, senza realtà come la nostra, non avrebbero potuto affrontare».