Il  27 marzo di 33 anni fa moriva, a Kalongo, in Uganda, il medico e missionario comboniano ronaghese padre Giuseppe Ambrosoli. La sua eroicità, la dedizione agli ultimi e ai malati per oltre trent’anni (con la costruzione di un dispensario poi divenuto ospedale e una scuola di ostetricia punto di riferimento per l’intera area centrafricana), insieme al miracolo riconosciuto dalla Congregazione per le Cause dei Santi, lo porteranno, nei prossimi mesi, a essere proclamato beato. In questi giorni di grande emergenza per la diffusione del coronavirus, dal Santuario della Madonna del Soccorso arriva un invito alla preghiera, legandola proprio alla ricorrenza della morte di padre Ambrosoli.

«Facendo memoria del suo esempio e della sua eroica testimonianza – suggeriscono dal Santuario – preghiamo affidando alla sua intercessione in particolare tutti medici, chiamati in ogni parte del mondo a testimoniare con la loro opera quell’Amore che viene dal cuore stesso di Dio». «Dio è Amore – scriveva padre Ambrosoli – c’è un prossimo che soffre e io sono il loro servitore… O Gesù un dono più grande dell’Eucaristia non potevi farcelo. Fa che corrispondiamo al tuo amore e al tuo desiderio con una vita veramente eucaristica. Questa non consiste solo nel fare la comunione, ma specialmente nel vivere la vita di Gesù in noi durante la giornata, ascoltare ed adorare Gesù operante nel cuore». Questo il testo della preghiera per chiedere l’intercessione di padre Giuseppe.

«O Padre, tu guardi compassionevole ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito
e mostri la tua benevolenza nell’opera di chi si dedica ad alleviare l’altrui sofferenza.
Ti ringraziamo per aver suscitato la vocazione missionaria nel cuore del giovane medico Giuseppe Ambrosoli.
Egli riconobbe la vera ricchezza dell’uomo nell’amicizia con Cristo e ha fatto dono della sua professione ai fratelli più poveri. Ci uniamo con tutti coloro che in terra di Uganda lo invocano e riconoscono in lui un umile e accogliente servo del Signore. Concedi a noi, per sua intercessione, la grazia che ti chiediamo…
Maria SS., Madre della vita, ci ottenga dal Figlio suo la gioia di vedere padre Giuseppe beatificato.
Così nella Chiesa brillerà il suo esempio di fedeltà al Maestro e la sua professione apparirà,
come fu, amore supremo verso i fratelli. Amen».

Il Vescovo monsignor Alessandro Maggiolini scriveva così di padre Ambrosoli: «Egli viveva in profondità lo stile di Gesù: Il Figlio dell’uomo è venuto per servire e non per essere servito… è la logica dell’ Eucarestia, del pane spezzato, vita donata per sfamare fratelli e sorelle… La sua opera missionaria e medica è stata quasi un ripetersi del grande miracolo della moltiplicazione dei pani, accompagnato dal nascondersi a quanti lo volevano esaltare e premiare per le sue abilità e successi».

Padre Egidio Tocalli, morbegnese (nella foto qui sopra), che di Ambrosoli raccolse il testimone, così ha ricordato padre Giuseppe nel testo “Servi per amore nel mondo”, il sussidio diocesano preparato per la Quaresima 2020. «Fu nel salone del seminario comboniano di Rebbio, quando vidi per la prima volta il dottore padre Giuseppe Ambrosoli, originario di Ronago. Eravamo allora nel lontano 1958, io ero seminarista e frequentavo la terza liceo. Padre Ambrosoli, era appena rientrato da Londra e si apprestava a far ritorno in Uganda a bordo di un aereo militare che partiva da Pisa, sul quale aveva avuto il permesso di caricare alcuni quintali di medicine e altro materiale medico, per il suo ospedale di Kalongo. Ci disse che quell’ospedale, situato nel Nord dell’Uganda, era nato solo un paio di anni prima, per opera sua e di alcune suore comboniane. Ci parlò quindi della gente estremamente povera, e dei malati che stava curando … E io, ne rimasi letteralmente conquistato. Quel “sogno”, non fu qualcosa di passeggero, anzi, maturò ulteriormente nel mio cuore, per cui, giunto il momento dell’ordinazione sacerdotale, (giugno 1968), scrissi all’allora Superiore generale, manifestandogli il mio desiderio di imitare padre Ambrosoli, diventando anch’io medico chirurgo, oltre che sacerdote. Conservo ancore il testo di quella lettera: “Chiedo a lei e al suo Consiglio, di valutare il mio desiderio di frequentare gli studi di medicina, dopo l’ordinazione sacerdotale, per poterlo un giorno aiutare, nella cura dei malati”. I Superiori accettarono. E terminati gli studi in medicina, a Padova, partii per un anno in un ospedale presso Londra, per lo studio della lingua inglese e l’inizio della pratica di chirurgia. E nel gennaio del 1977 ero a Kalongo. Grande fu la mia gioia di poter abbracciare padre Ambrosoli, che subito mi iniziò ad assisterlo in sala operatoria, dove potei ammirare la sua eccezionale abilità chirurgica. Ma il mio soggiorno a Kalongo, fu breve, perché urgeva la mia presenza di medico, altrove. Nel frattempo, l’Uganda, conobbe anni molto difficili, con la guerra civile e attacchi alterni di ribelli e forze governative. L’ospedale di Kalongo, venne evacuato di forza, ma non distrutto. E a fine marzo 1987, a soli 63 anni, padre Ambrosoli, moriva, dopo essersi speso fino all’ultimo come sacerdote e medico. Tutto sembrava finito… Ma due anni dopo, venni chiamato a riaprire quell’ospedale. Padre Giuseppe Ambrosoli aveva avuto una grande intuizione: aveva creato una Scuola per la formazione di centinaia di infermiere ostetriche, affinché si prendessero cura delle mamme e dei bambini. Ora, io avendo conseguito la specialità in ginecologia e ostetricia, con mia grande gioia, potevo proseguire in quel progetto, insegnando nella scuola di ostetricia, e fornire, allo stesso tempo, un valido sostegno alle suore, che aiutavano le studentesse a conseguire l’esame finale. Da allora, molti anni sono passati. Ma quel sogno, oggi, è una grande realtà. E noi tutti, attendiamo con gioia, il giorno in cui padre Giuseppe Ambrosoli sarà proclamato “beato”. Ora, che vivo presso i Comboniani di Rebbio, sarò felice di portare ovunque, specialmente nelle parrocchie, la mia testimonianza su padre Ambrosoli, sacerdote medico, che in ogni malato, riconosceva la presenza del corpo sofferente di Gesù. Sulla lapide della sua tomba, a Kalongo, sono scolpite queste parole, tratte dal suo diario: “Dio è Amore; io sono il suo servo per aiutare i suoi figli che soffrono”».

padre Egidio Tocalli, missionario Comboniano