Da ragazzino il mio sport preferito era correre. Non i 10 mila metri. Preferivo correre dietro ad un pallone. Le domeniche di inverno, e tutti i giorni durante l’estate su e giù per il campetto di terra polverosa del mio Oratorio, inseguendo sempre la vittoria. Mi piaceva vincere, non partecipare. Anche le schiappe partecipavano. Volevo vincere, essere il primo. Battere gli altri, stracciarli. Chi perdeva, per di più, oltre alla magra figura di fronte agli altri e soprattutto agli occhi delle ragazze e del gruppo di amici, doveva pure offrire ai vincitori una lattina di bibita gassata (quella scura per intenderci), a 950 lire. Una vera umiliazione
Tirando calci al pallone, tante voci ho ascoltato.
Il bello dell’oratorio è il caos, non il silenzio. Sono i colori, la confusione, il disordine. Tante voci, dicevo. La più forte, sicuramente, quella del parroco o del seminarista disperato: “Scendete dal muretto, disgraziati!”. Poi le voci degli amici, tra una battuta e qualche parolaccia, un canto o urla sguaiate. E ancora, come dimenticare le voci della barista? (…)
Ma la verità è che in tutte queste voci, nascosta e più sottile, soffiava la Parola del Signore: “Seguimi!”. Mica l’ho sentita così allora. Da bambino sentivo solo il parroco, la barista e la mamma. E poi io volevo solo giocare, mica fare il prete. Anzi, volevo solo vincere. Volevo la coca cola gratis (ops… l’ho detto!) e il ghiacciolo offerto.
Eppure la Grazia lavorava, scavava, apriva strade e sentieri su cui gettare semi. Preparava il terreno su cui avrei costruito la casa. Così l’amicizia con il Signore più per pazienza e testardaggine Sua, che mia, cresceva, si irrobustiva. Gesù piano piano imparava a conoscermi e iniziava a farsi conoscere. A rivelarsi. Vedendomi vincere e perdere, gioire e farmi male. Per questo mi ha regalato tutti i tempi, in Oratorio. Si è nascosto silenzioso nella stecca del sole e nel diluvio. Nella neve e nella grandine. (…)
In Oratorio, correndo, insieme alle parole degli uomini, Dio mi raccontava la Sua volontà…
Da prete ho rivisto tutto questo. Con una consapevolezza maggiore. Come uno che guarda la vita nascente a partire dalla fine, che si prende cura delle radici avendo già chiari i frutti. Sapevo bene il valore educativo – e quindi vocazionale! – del torneo, della festa, della pizza, delle ginocchia sbucciate, del muretto, del ping pong e della cappellina, dell’incontro con l’altro, con il diverso, perfino il nemico. (…)
Questo l’Oratorio. Terra sacra, cortile, palestra, bottega, scuola, (chiamatelo come volete) per l’incontro con l’Altro. Terra di semina abbondante per frutti di libertà che matureranno con il tempo e con la vita.
Ora vedere tutto questo chiuso, silenzioso, è una ferita. Lo è per tutti. Per il bambino che voleva correre – e vincere! – e per noi sacerdoti.
Non ci sono soluzioni e il futuro, ad oggi, è incerto. Sono l’ultimo a dover parlare, ne ho anche poco diritto. Tre cose però, per chi vuole, vorrei dirvi (gli altri, liberi di interrompere qui la lettura).
Sì, lo so, banale. Ma la Grazia di Dio non ci abbandona, oggi. Parla solo parole nuove. Tutte da ascoltare, tutte da gustare, come quelle pagine della Bibbia che quando le leggi ti sembra siano state aggiunte il giorno prima, tanto suonano fresche, nuove! Come l’inizio di un nuovo fidanzamento.
Grazie a voi preti, perché la fatica che portate nel cuore, la preoccupazione per la salute, vostra, dei nostri confratelli o parrocchiani, parenti o amici, solo voi la potete comprendere. E a volte potete dirla a pochi. Trovarsi con tutti i “nostri” strumenti spenti, depotenziati, scarichi, è una fatica. Oratori vuoti e chiese senza fedeli, messe a banchi silenziosi e funerali alla svelta. Non è facile.
Grazie a voi per la creatività e la fantasia di questo tempo. (…)
Circa l’Oratorio. Non ho la bacchetta magica e non so come sarà l’estate. Tanti chiedono. Grest o non grest? Nessuno, ad oggi, lo sa. Se si potrà o non potrà fare. E se sì, come? Pensiamoci insieme. Perché l’idea di ciascuno è sempre mancante. Chiediamo ai preti giovani di sprigionare forza ed entusiasmo per leggere questi tempi e intuire strade che il Signore apre. Perché le parole del parroco, educatore, vicina di casa, barista e in esse quella del Signore continui a risuonare.
Togliamoci l’ansia di dover fare come si è sempre fatto, di dover essere all’altezza di chissà cosa.
Togliamoci la preoccupazione di dover rimettere in piedi tutto, come se niente fosse. Rimettendoci a correre ancora come disperati. Non sarà e non potrà essere così. Sarà nuovo. Ci saranno tanti elementi da tenere insieme. Le indicazioni del Governo, le linee della Chiesa, la situazione delle famiglie, economica e lavorativa, gli spazi, le restrizioni, i tempi della scuola, il bisogno dei ragazzi, la fiducia dei genitori, l’attenzione verso gli ultimi e le conseguenze che questa pandemia lascerà nei cuori di tutti come ferita, paura, minaccia. In tutto questo parla il Signore e non possiamo non ascoltare. Questo sì, sarebbe il peccato più grave.
Come ufficio di Pastorale Giovanile, in unione a una scelta regionale, non metteremo a disposizione il tradizionale materiale del grest (tema, obiettivi, canti, magliette, foulards, etc…). Lo spazio lo lasciamo alla vita che già tanto materiale ci sta dando…
Vorremo però essere vicini a tutti gli oratori, a voi preti e a tutti gli educatori. Se ci sarà possibile, e se lo riterrete un’occasione per godere del legame ecclesiale che ci unisce, accompagnare le scelte, suggerire strade e predisporre piccole linee tematiche per l’estate. Un passo alla volta.
L’oratorio non muore, perché tanta Vita contiene. È solo ferito, un po’ trafitto. Ma tanti soffi può ancora regalare.
Ai bambini che vorranno sempre vincere, e a noi preti che saremo lì, a fare il tifo per loro.
don Pietro Bianchi
Pastorale Giovanile Vocazionale