Un anno fa si abbatteva il dramma coronavirus anche sul Lario. Tutti, chi direttamente chi indirettamente, ci confrontavamo con un nemico invisibile che avrebbe cambiato per sempre le nostre vite. Inizialmente Wuhan e persino Codogno sembravano lontani.

Andrà come sempre, pensavamo, troveranno qualche modo di isolarlo, di diluirlo, di imprigionarlo. Non ci avrebbe toccato, dicevamo, eravamo troppo presi con i litigi di Governo, con la stucchevole discussione sui tempi della prescrizione, argomento imperdibile per il comune cittadino.

Quando però abbiamo sentito succedere qualcosa nei comuni della bergamasca ci siamo spaventati, ed è bastato andare nel nostro Pronto Soccorso, in centro a Como, per vedere i primi malati con febbre ed asfissia.

Non ci credevamo, i tamponi per la diagnosi molecolare del virus erano cosa rara, anzi cercavamo dove aprire una convenzione con l’Università di Milano, per evitare l’ingorgo con l’ospedale “Sacco” di Milano Vialba. Ma c’era un indicatore nuovo, che abbiamo imparato ad utilizzare per capire prima ancora di avere il test dal tampone: la TAC toracica.

Iniziavamo a vedere dei quadri radiologici per noi totalmente nuovi: “addensamenti polmonari bilaterali a vetro smeriglio” recitavano i referti. Era la polmonite interstiziale in corso di Covid.

I primi malati sono stati trasferiti rapidamente al reparto di Malattie Infettive dell’ospedale più vicino, ma in due-tre giorni era già saturo e subito abbiamo capito che avremmo dovuto fare da soli. Si è subito formato un comitato tecnico-scientifico interno costituto da pneumologi, internisti, rianimatori che ha steso delle linee guida.

Non c’era niente di simile sui libri, qualche sparuta pubblicazione dall’esperienza cinese, ma se ne sapeva pochissimo. Non c’erano per esempio dati anatomo-patologici, non si sapeva cioè perché i malati di Covid morissero. Soprattutto se intubati e quindi assistiti nella respirazione. Vada per i più fragili ed anziani, dove una sofferenza generale da insufficienza respiratoria grave faceva decadere tutto l’organismo, ma perché anche i quarantenni sani?

Tutto l’ospedale si allarmava per isolare poi i cosiddetti malati non Covid: ictus, infarti, tumorali, le donne in Maternità, i bimbi in pediatria. La Farmacia si è subito attivata per trovare dispositivi di protezione individuale: tute, caschi, mascherine, calzari, guanti, igienizzanti. Tutte cose che ora diamo per scontate ma che allora erano introvabili. Ricordate la scritta drammatica fuori dalle Farmacie: mascherine esaurite?

L’ufficio tecnico era alla disperata ricerca di moduli aggiuntivi da rianimazione, perché presto ci si è accorti che quelli a disposizione non bastavano. Gli anestesisti si confrontavano con le loro linee guida per decidere chi intubare e chi no in base alle possibilità del singolo malato di farcela. Sembrava un incubo, anzi lo era.

Ci siamo rivolti ad una donazione spontanea di denari da parte dalla popolazione di Como, perché si sono interrotti i flussi di cassa che quotidianamente entrano dalle attività ambulatoriali. I comaschi, direttamente o tramite associazioni, fondazioni, club di servizio, hanno risposto oltre ogni attesa ed hanno consentito acquisti immediati. Sono stati stravolti tutti i reparti, alcuni chiusi, altri ridotti e sacrificati, per fare spazio a tre piani interamente dedicati ai malati Covid. Hanno poi iniziato ad ammalarsi medici, infermieri, operatori, suore.

Ci siamo quindi isolati dai nostri cari, chi non aveva spazio nelle proprie case ha cercato abitazioni alternative. I “bed and breakfast” offrivano stanze gratis ai sanitari. E poi i morti, i tantissimi morti. Uno dei momenti più drammatici è stata la telefonata del Sindaco che offriva spazi aggiuntivi per le salme, tutte nei “sacchi”, chiusi in fretta dopo accertamenti di 20 minuti con elettrocardiogramma perché non potevano essere tenute per le usuali 24 ore di osservazione. E il dramma dei parenti, esclusi dall’agonia dei propri cari. I sanitari bardati che tenevano la mano dei moribondi, e facevano loro il segno della Croce.

Le chiese deserte. Tutte immagini terribili, come quella del feretro della Madre Superiora dell’ospedale Valduce portato via dal carro senza la possibilità di un funerale, con tutto il personale in giardino in lacrime. Credevamo dopo un anno di poter lasciarci tutto alle spalle ed invece ci siamo dentro con la cosiddetta terza ondata. Siamo stanchi e sfiduciati, i vaccini sono lontani e ci chiedono ancora rinunce. Mollare adesso sarebbe però il modo peggiore per ricordare chi non ce l’ha fatta, quindi che sacrifici siano.

MARIO GUIDOTTI (Neurologo)